19ˆ Mostra Internazionale d’Architettura,
Intelligens: Naturale. Artificiale.
Collettiva Biennale di Venezia 2025
Padiglione Svizzera
Roma – 12 Settembre 2025
by Vittoria Biasi e Roberta D’Errico

Per la Biennale di Architettura di Venezia Intelligens: Naturale. Artificiale. Collettiva, il Padiglione svizzero presenta l’installazione Endgültige Form wird von der Architektin am Bau betimmt (La forma finale sarà determinata dall’architetto sul cantiere), curata dalle quattro architette del gruppo Annexe – Elena Chiavi, Kathrin Füglister, Amy Perkins e Myriam Uzor, con la collaborazione dell’artista Axelle Stiefel. L’equipe comprende il coordinatore di progetto Tobias Becker, la grant writer Ella Eßlinger, la graphic designer Emma Kouassi e il sound designer Octave Magescas.
Il gruppo Annexe lavora sulla valorizzazione di segni materiali o storici lasciati inosservati nel paesaggio. La ricerca di espressività nascoste tra i residui del tempo colloca la loro espressività in un linguaggio tra architettura e performance, con la conseguente scoperta di nuove possibilità spaziali, di connubi tra presente e passato, tra risorse materiali e immateriali.
All’interno del Padiglione svizzero, le curatrici hanno allestito il progetto sulle tracce di quello realizzato nel 1958 a Zurigo dall’architetta Lisbeth Sachs per la seconda edizione dell’Esposizione Svizzera del Lavoro Femminile, nell’intento di farlo dialogare con l’architettura ospitante ideata nel 1951/52 dall’architetto Bruno Giacometti.
La presenza del progetto di Lisbeth Sachs riflette la volontà ricordare il percorso storico e le finalità della SAFFA, che nel 1928 aveva organizzato a Berna la prima Esposizione Svizzera del Lavoro Femminile. L’evento era stato ideato, sostenuto, da società e associazioni svizzere femminili per sensibilizzare e rendere consapevoli le istituzioni sul diritto delle donne alla co-determinazione, all’uguaglianza giuridica e al diritto al lavoro1. Per manifestare il dissenso sul ritardo all’introduzione del suffragio femminile, le donne, per la mostra di Berna, avevano realizzato e installato su un carro una gigantesca chiocciola2.
Nella seconda mostra organizzata a Zurigo trenta anni dopo, nel 1958, dalla SAFFA e altre associazioni femminili, il primo architetto donna, iscritta all’albo, Lisbeth Sachs aveva realizzato il progetto per Il Padiglione delle Belle Arti. Questo era costituito da una struttura circolare in interazione con il bosco circostante. La forma ideata dall’architetta, innovativa rispetto alle architetture del modernismo, nasceva dalla sua visione sul disagiato mondo femminile. Sulle pareti disposte radialmente era allestita un’esposizione che, con consapevolezza estetica, valorizzava oggetti di uso quotidiano, importanti per l’organizzazione familiare.
La mostra e la struttura circolare creavano un movimento interno fluido di vita reale aperta all’accoglienza, all’annullamento della distinzione tra interno e esterno.
La concezione iconica annullava le separazioni e apriva uno spiraglio ad un possibile divenire paritario. La progettualità di Lisbeth Sachs si può considerare la creazione di un miraggio per la società contemporanea.
Il Padiglione dell’Esposizione Svizzera del Lavoro Femminile, realizzato come opera temporanea, è distrutto alcuni mesi dopo la fine della mostra e l’evento è celebrato con l’emissione del francobollo in cui appare il volto di una donna che ha dietro la nuca due nastri con i colori della bandiera svizzera3.
Le curatrici hanno svolto un lavoro di ricerca per portare a conoscenza la particolarità storica e simbolica dell’impegno di Lisbeth Sachs.
La ricostruzione del suo progetto per la SAFFA, all’interno del Padiglione di Giacometti, è un esempio straordinario di architettura, con una disposizione innovativa di strutture, che rendono l’ambiente un luogo ameno, di serena riflessione, tra tendaggi bianchi agitati dal passaggio dei visitatori quasi a sottintendere un senso comune di appartenenza.
Le curatrici introducono il progetto della loro architetta ponendosi e ponendoci la domanda «E se fosse andata diversamente? E se fosse stata Lisbeth Sachs, e non Bruno Giacometti, a progettare il Padiglione svizzero?»
La presenza del progetto di Lisbeth Sachs in dialogo silenzioso con l’ideatore del Padiglione svizzero rivela la sua profondità progettuale, che tiene conto di problematiche storiche e sociali.
L’architettura con le sue trasformazioni formali è l’espressione di una regola archeologica, ancestrale perpetrata nei secoli.
I padiglioni dei Giardini sono stati ideati soltanto da architetti e noi visitatori non abbiamo mai riflettuto sulla scelta unilaterale. La domanda, a conclusione dell’esposizione del progetto, posta dalle curatrici Elena Chiavi, Kathrin Füglister, Amy Perkins, Axelle Stiefel e Myriam Uzor ci ha reso consapevoli dell’assenza di una pratica architetturale al femminile nell’ideazione di siti, rappresentativi di molti paesi, che raccontano e scrivono la storia ufficiale.
L’installazione proposta dalle curatrici ha evidenziato la marginalizzazione delle figure femminili rimaste sulla soglia di utopie sociali.
1 Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/SAFFA
2 Cfr. https://www.stiftung-frauenarbeit.ch/index.php/de/stiftung/geschichte/ausstellungen
3 Cfr. https://www.alamy.it/svizzera-circa-1958-un-francobollo-stampato-in-svizzera-mostra-la-testa-della-donna-e-i-nastri-in-colori-svizzeri-saffa-exhibition-zurigo-suffrag-della-donna-image452780146.html






